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Transizione energetica: tendenze generali e impatto sull'Italia

La trasformazione del settore energetico, per la grande entità delle sue emissioni di gas serra, svolge un ruolo di massima importanza per decarbonizzare l'economia globale e conseguire obiettivi, sempre più stringenti, stabiliti annualmente dalla COP (Conferenza delle Parti) sui cambiamenti climatici, nelle sue riunioni dal 1992 ad oggi.

Una sfida testimoniata dall'accordo raggiunto nel dicembre 2015 alla COP 21 a Parigi che impegna a livello giuridico 177 Paesi firmatari a mantenere l'innalzamento della temperatura terrestre sotto i 2° e - se possibile - sotto 1,5°, rispetto ai livelli pre-industriali. Vari Stati si sono impegnati a raggiungere zero emissioni in date prima o dopo il 2050, legate alle loro situazioni energetiche e sociopolitiche.

L'Unione Europea si è posta l'obiettivo di essere il primo continente a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 con un susseguirsi di target che superano di volta in volta i precedenti.

L'ultimo con il pacchetto di provvedimenti FIT for 55 per raggiungere "zero emissions" nel 2050, che impone la tappa intermedia di ridurre al 2030 di almeno 55% le emissioni nette climalteranti e che ha dato seguito ad una serie di misure, nuove o aggiornate, che vincolano tutti i settori, dai trasporti, all'edilizia, all'agricoltura, ecc., noti in Italia e non solo per le reazioni provocate dalla severità degli obblighi.

Tra di essi quello energetico, per le sue specificità, va visto e considerato sul piano globale e la sua transizione attuata con un approccio sistemico sulla base delle diverse emissioni dai vari comparti e delle differenze e tendenze delle varie aree geopolitiche.

A tal fine, per stimare i fattori che determineranno il successo o meno nel raggiungimento dell'obbiettivo globale vale la pena di esaminare la situazione attuale delle predette aree, con i loro tassi di variazione delle emissioni dovute alla produzione di energia elettrica e ai consumi di energie primarie.

La tabella (che trovate nel PDF ndr) che ho elaborato sulla base degli ultimi dati globali consolidati ad oggi (relativi al 2022), con il loro incremento o decremento medio annuale (AAG) nell'ultimo decennio, offre lo spunto a varie considerazioni, a partire dal fatto che il 2022 è stato un anno con andamento più in linea con i trends passati, rispetto al 2020 e 2021 caratterizzati da un crollo dei consumi energetici e poi di forte recupero dopo la pandemia.

Dai dati della tabella e del mio articolo su questo numero della rivista [2], osservo quanto segue.

I paesi non OCSE ed in via di sviluppo, che assommano l'83% della popolazione mondiale, dominano i 2/3 delle emissioni climalteranti, con un incremento differenziale medio annuo di 2 ,5punti % superiore di quello de paesi OCSE (AAG negativo di 0,9%) e di 3,3 punti% rispetto alla UE (AAG negativo dell'1,7% con Italia al -1,5%)). La UE conta ad oggi per il 7,9% delle emissioni ed al 2030 conterà meno del 6%.

Pur riconoscendo l'importanza che ognuno debba contribuire alla decarbonizzazione il suo annullamento al 2050 da parte dell'Europa darebbe un contributo del tutto marginale al raggiungimento dell'obbiettivo globale.

Ciò, se non si passa da una costosa visione solo eurocentrica, con impatti sulla competitività UE, a una prospettiva di investimenti con tecnologie verdi al di fuori di UE con procedure e ritorno di finanziamenti e investimenti tutti da approfondire.

Questo in paesi che devono supportare la crescita e lo sviluppo sociale delle loro popolazioni con sostanziosi aumenti dei consumi energetici pro capite.

Resta comunque il fatto che la decarbonizzazione globale dipende da quanto si realizzerà nei paesi in via di sviluppo.

Un'altra osservazione riguarda la produzione di elettricità a livello globale, che viaggia con un AAG del 2,5% ed a livello Paesi non OCSE del 4,2.

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Alessandro Clerici - FAST - Federazione delle Associazioni Scientifiche e Tecniche
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