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COP30, la strada verso Belém

in collaborazione con La Termotecnica News

Tra il contesto geopolitico internazionale incerto e il negazionismo climatico di Trump, si avvicina la trentesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (COP30), dall'10 al 27 novembre 2025 nella città di Belém, in Brasile. Un appuntamento che si annuncia cruciale per il presente e il futuro del pianeta. È prevista la partecipazione di 162 Paesi. Dovranno misurarsi con l'urgenza della crisi climatica e con l'insufficienza degli impegni finora messi in campo.

Potente il valore simbolico della città scelta per la Conferenza. Belém, capitale dello Stato del Pará, nel nord del Brasile, è situata alle porte della grande foresta Amazzonica, un'ecosistema che svolge un ruolo cruciale nell'assorbimento del carbonio e nella regolazione del clima globale. Questo "polmone verde" sempre più minacciato dalla deforestazione di cui le popolazioni indigene pagano il prezzo più alto, incarna le sfide della crisi climatica mondiale, indissolubilmente legata alla giustizia sociale.

COP, tappe fondamentali
La COP, acronimo di Conference of the Parties (Conferenza delle Parti), è il vertice annuale che riunisce i Paesi aderenti alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). Firmata a Rio de Janeiro nel 1992, durante lo storico Summit della Terra, la Convenzione ha segnato un punto di svolta nella presa di coscienza globale sull'urgenza delle questioni ambientali. Il suo obiettivo: stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell'atmosfera e limitare l'impatto delle attività umane sul clima. Nel 1997 durante la COP3 con la firma del Protocollo di Kyoto, si giunge al primo accordo internazionale giuridicamente vincolante per la riduzione delle emissioni di gas serra dei paesi industrializzati. Il Protocollo, entrato in vigore il 16 febbraio 2005, mirava a ridurre le emissioni di almeno il 5,2% nel periodo 2008-2012, rispetto ai livelli del 1990. Con l'Accordo di Parigi (COP21) nel 2015, arriva la prima intesa universale giuridicamente vincolante tra i paesi (non solo quelli industrializzati) che unisce tutti verso un unico scopo: contenere a lungo termine l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto della soglia di 2°C oltre i livelli pre-industriali, e limitare tale incremento a 1.5°C. Alla COP21 di Parigi parteciparono 195 Stati oltre a numerose organizzazioni non governative (ONG), università, istituti di ricerca e altri gruppi della società civile, come osservatori, a garanzia della trasparenza dei negoziati.

La COP30 segna il 20º anniversario dell'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto e il 10º anniversario dell'adozione dell'Accordo di Parigi. Un importante momento di bilancio per la diplomazia climatica internazionale.

Verso la COP30, a che punto siamo?
Gli sforzi profusi fino ad ora, tra successi, sconfitte e la resistenza delle lobby dei combustibili fossili, risultano purtroppo insufficienti. Il mondo ancora non è sulla buona strada, la crisi climatica avanza a un ritmo senza precedenti. Secondo l'Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) la temperatura globale supererà la soglia critica di 1,5°C, stabilita dall'Accordo di Parigi, nei prossimi 5 anni. Serve un'immediata inversione di rotta, come indicato dalla scienza, per fermare questa tendenza. E' ancora possibile, ma bisogna fare di più e in fretta, mettendo in campo azioni climatiche accelerate e collettive in grado di contribuire a contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C.

E, questione fondamentale, senza lasciare indietro nessuno. Nel pessimo accordo raggiunto lo scorso anno a Baku (COP30), l'Europa e gli altri Paesi industrializzati non sono stati in grado di fornire ai paesi più poveri e vulnerabili le necessarie risorse finanziarie per decarbonizzare le loro economie e rispondere con mezzi adeguati ai sempre più frequenti e devastanti disastri climatici, che li colpiscono con conseguenze drammatiche allargando sempre di più la forbice tra le differenze. Sarà quindi cruciale e di grande responsabilità il ruolo che la finanza climatica è chiamata a giocare a Belém.

Ci auguriamo che la COP30 non naufraghi in ulteriori procrastinazioni. Non c'è più il tempo.

Sconcerta il fatto che nonostante le maggiori istituzioni scientifiche ribadiscano che il riscaldamento globale esiste ed è causato dall'uso massiccio di combustibili fossili, c'è chi ancora rema contro e nega la realtà mettendo il pericolo il futuro di tutti. Purtroppo i media sono attraversati da dichiarazioni negazioniste, minimizzanti o fuorvianti sul cambiamento climatico, anche da chi guida Paesi strategici come gli Stati Uniti d'America. "Una truffa, la più grande bufala mai raccontata." Questo è quello che pensa Donald Trump.

La mobilitazione dal basso
La COP 30 non sarà solo un appuntamento diplomatico tra capi di Stato. Sarà anche una grande mobilitazione popolare pronta a mettere in primo piano le istanze dei territori. Comunità indigene, movimenti sociali, associazioni ambientaliste, organizzazioni religiose e della società civile cercheranno di portare il cuore dell'Amazzonia, il simbolo di una transizione equa e giusta, al centro del dibattito internazionale.

Siamo pronti anche in Italia. Il 15 novembre torneremo in piazza a Roma per la seconda edizione del Climate Pride, promosso da 73 realtà della società civile, una street parade gioiosa e colorata per la giustizia climatica che mira a unire arte e attivismo, coinvolgendo soprattutto le giovani generazioni, per chiedere soluzioni concrete alla crisi climatica.

In un mondo segnato da guerre, ingiustizie e divisioni, la lotta alla crisi climatica è anche una scelta di pace: costruire un futuro sostenibile significa costruire un futuro più giusto e sicuro per tutti.
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Pubblicato il 31 ottobre 2025
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